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La vera siccità è quella dell’io

La vera siccità è quella dell’io

Ci preoccupiamo per una capra morta e non dei bambini che muoiono

        

Nella foto c’è una capra morta. E’ una capra morta in Turkana. E’ morta per la siccità, perché non c’è niente da mangiare e da bere. E ai bambini che vivono nello stesso posto, cosa può succedere? Quindi, la situazione è più o meno così. Molti bambini muoiono. A molti Italiani dispiace. Ma molti italiani non fanno niente. Anzi, peggio, molti esprimono ammirazione per, dicono, “quello che faccio”. Che sono una bella persona e che magari ce ne fossero di persone come me. Molte persone che conosco dicono che salveranno un bambino con un’adozione, magari proprio con Italia Solidale, perché mi conoscono e si fidano, ma quando staranno meglio, con i loro tempi. Mi dicono che ci arriveranno, che vogliono, ma che vedremo, che in effetti no, in questo momento ci sono problemi e quando si risolveranno, allora sì che faranno questa adozione. Molte persone mi contattano anche su Facebook, mi dicono che è molto bello quello che faccio, ma come se fosse una cosa mia, una qualità mia, che riguarda solo me. Non riesco a capire cosa cercano. Cioè, lo capisco. Sentono una verità, che è la vita che parte dai bambini e arriva al mondo passando attraverso di me. Ma poi quando si tratta di partecipare personalmente, ah no. Magari quando uno potrà, perché adesso ci sono problemi e problemi. Problemi? Dopo la foto della capra morta, devo aggiungere altro? Ricevere questo tipo di relazioni, onestamente, mi fa sentire abbastanza a disagio perché sento tanta buona volontà, ma anche una siccità molto peggiore di quella che ha fatto morire la capra. E’ la siccità dell’Io. Cosa vuol dire siccità dell’Io? Mo’ ci arrivo.

 

Cerco di spiegarmi meglio e prego di poterlo fare il più possibile senza giudizio, non me ne vogliate (!!) che non è un fatto personale, e prego di poterlo fare solo sulla scorta dell’esperienza diretta che ho dell’Africa e della vita anche grazie a Italia Solidale e a padre Angelo da ormai un po’ di annetti a questa parte.

E’ una siccità molto meno evidente, ma molto più mortale di quella che ho visto in Turkana perché, a differenza del deserto, è mascherata: c’è ma non si sente. 
In un inganno del genere, è molto semplice inaridirsi senza nemmeno accorgersi, perché si muore nello Spirito ma non nel corpo.
Quando sono in Italia, spesso sento intorno a me una confusione sull’ordine della vita che mi disturba molta.
Quello che vedo in Africa, anche la crudezza del fatto che i bambini muoiono adesso, anche mentre state leggendo, mi aiuta a ristabilire le priorità secondo l’ordine della vita che non sono l’opinione mia o quella degli altri, ma che sono una verità.

Il punto vero che mi disturba, non è tanto che i bambini muoiono, perché personalmente sto facendo della mia vita tutto quello che posso perché questo non avvenga.
Quello che mi disturba di più, che ci uccide veramente, è che i bambini muoiono perché non ci interessa.
E se sono una vera donna, non posso rimanere indifferente a questa poltiglia di Spirito che sento così viva, che mi circonda, di fronte alla quale spesso mi sento addirittura una stronza che giudica chi invece, poverino, semplicemente non vuole fare le stesse cose che faccio io…
Magari ci sembra pure che ci interessa perché inconsciamente sentiamo una chiamata all’amore, che però rimettiamo a posto con molti pensieri razionali e alla fine l’adozione non la facciamo mai.
C’è gente che da anni mi dice Sì, Sì, poi si chiude in casa, continua con la vita di sempre credendo di cambiare e mi dice che ci risentiamo.
Passa un po’ di tempo, ci risentiamo, ovviamente la persona non risolve mai perché a un problema si sussegue un altro, e se stiamo sui problemi mai coglieremo che la vita è oggi e indipendente da qualunque problema che incontriamo.
Intanto altri 16.000 bambini al giorno sono morti e la persona non solo non ha risolto niente, ma non ha manco salvato una vita che meritava di vivere grazie alla sua semplice partecipazione.
E poi, ma come si fa a risolvere nell’isolamento e nell’alienamento delle quattro mura domestiche se non siamo nemmeno abbastanza orgogliosi o capaci di amare un bambino che muore senza pensarci due volte, come, dico come possiamo avere la forza di amare noi stessi e quindi risolvere le nostre sofferenze?
Non posso giudicare, a qualcuno magari interessa anche che i bambini muoiono, gli spiace proprio…ma quello che vedo per esperienza diretta è che sicuramente non ci interessa a sufficienza.

Perché?
Quando pensiamo di salvare un bambino quando staremo meglio, quando avremo il nostro equilibrio, cosa scatta nella nostra testa?
Tutto ciò che ci separa dall’amore è contrario dalla vita, questo è un fatto.
Nel non salvare un bambino subito, si nasconde un grande inganno che blocca l’amore e la vita del bambino e della persona stessa.
Dov’è questo l’inganno?
E’ nel pensare che possiamo controllare la vita e l’amore.

La verità è che non sapremo quando staremo meglio e non possiamo nemmeno gestirlo.
Le forze dell’inconscio sono il 90% delle nostre forze e solo il 10% è la mente.

Freud docet somewhere.

E padre Angelo docet pure, con quel filo di unità in più tra inconscio, fede, scienza e missione, anzi, più che docet, testimonia con tutto quello che sta e stiamo facendo nel mondo con Italia Solidale.

La mente non può controllare l’inconscio, questo lo vediamo ad esempio nei sogni, e noi stiamo secondo il nostro inconscio.
Il fatto che sentiamo di non riuscire ad amare subito è una falsità, perché il nostro inconscio è già pronto e basta solo seguirlo.

Evitare l’adozione, non è nemmeno un fatto di soldi e su questo sono sempre più sicura.
Prendiamo un animale domestico, un cane, il Nino.
Vaccinazioni, pappa, magari un corso per l’educazione fanno molto più di 300 € all’anno, di 80 centesimi al giorno, che è quanto ognuno potrebbe dare per salvare uno di questi bambini.
4 gin lemon a sera in piazza a Gallarate fanno 32 € in un week-end, sono più quanto basterebbe a salvare un bambino e tutta la sua famiglia in un mese.
La gente intorno a me salva e adotta cani, gatti, pesci, conigli, unicorni…non dico di no, ok, sta bene.

Ma perché la stessa persona che salva un animale non sente l’urgenza di salvare un bambino?

Un bambino che è il figlio di due persone?

Che potrebbe essere suo figlio se solo la ruota della vita lo avesse fatto nascere fuori dall’Italia?

Cosa ci mette tanto in crisi?

E di fronte a tutto questo disordine sulla vita, non dovrei nemmeno indignarmi?

Dovrei sottomettermi a chi mi fa capire che il mio indignarmi secondo lui è un giudizio che nuoce alla libertà degli altri di fare ciò che vogliono, compreso morire di isolamento se lo vogliono, e dovrei credere io stessa che tutto questo fuoco che sento dentro e che mi fa combattere tutta questa morte intorno a me fa di me nient’altro che una specie di fondamentalista di Italia Solidale?

Ma anche no, se sono una vera donna, proprio anche no!

E due domande me le faccio pure.a allora, siamo cattivi?
Siamo insensibili?
Non mi pare.
Tutti sti sorrisi, sti complimentoni, sti abbracci e poi tutti spariscono. Trasparenti. Puff.
Se non siamo cattivi, allora cosa siamo?
Perché non riusciamo semplicemente a dire Sì a salvare un bambino e la sua famiglia?
Cosa cavolo c’è di così insormontabile e che ci fa andare a letto tranquilli pur sapendo che NON stiamo salvando un bambino?

Vivendo questa esperienza sono arrivata a due conclusioni.
La prima è che non siamo cattivi. E’ vero.
Siamo semplicemente molto più condizionati di quello che possiamo vedere o di quanto possiamo renderci conto.

La seconda è che non riusciamo più o non riusciamo abbastanza a vedere la sofferenza del bambino che muore, perché in fondo non vediamo veramente la nostra, la nostra più profonda.

Metterci in contatto con una realtà simile, di un bambino che muore e non farlo morire, significa toccare le corde più profonde del nostro inconscio.

Significa irrigare con l’acqua della relazione e dell’amore per un bambino un terreno arido da troppo tempo: il nostro Io.

Se anche tocchiamo la nostra sofferenza, riusciamo a vedere solo quella e lì la siccità dell’Io diventa veramente devastante.
Ci chiudiamo, ci isoliamo, cerchiamo di risolvere tutta la sofferenza che abbiamo nelle mura di casa, che probabilmente sono le stesse in cui le sofferenze hanno fatto le radici.
Mettere noi stessi al centro sempre e comunque è qualcosa che affligge pesantemente la nostra società.

Gli Africani sono poveri e per questo sono veramente benedetti.

Muoiono di fame a volte, ma onestamente.
In Turkana, persone che potrebbero morire di fame accettano di salvare un bambino subito.
Molti sono i donatori Turkana che salvano bambini indiani.
Non si pongono il problema dei soldi, che piano piano trovano e che riescono a condividere senza possessività.
Ma soprattutto non si pongono il problema di non poter amare adesso qualcuno.
E’ un problema che non esiste, perché percepiscono profondamente la loro dignità e non mettono mai in dubbio la forza di relazione che per creazione è dentro di loro.
Questa è la vera ricchezza, questa è la vera acqua di vita da cui sempre di più ci allontaniamo.

I Turkana soffrono e sanno che la siccità del deserto non cambierà. 
E’ il deserto, di certo non diventa l’Amazzonia.
Ma non pensano che la sofferenza sia affar loro, sanno chiedere aiuto e dare aiuto, hanno l’esperienza che è la relazione vera di carità che salva la vita, che la vita di un uomo vale più di quella di un animale, che se una capra muore è un dispiacere, ma che se muore un bambino è un vero peccato.

Eh sì, è un vero peccato contro la vita che ognuno di noi commette contro se stesso per primo.

E si può fare molto, ma veramente molto.
Nelle foto si vede una signora tutta felice, che con il contributo di un generoso donatore italiano attraverso Italia Solidale, ha fatto il suo negozio e può rivendere la verdura che compra da lontano (in Turkana non è possibile coltivare, il terreno è sabbia praticamente).
Una persona italiana ha salvato la vita di un’intera famiglia a partire dall’amore per un bambino.

Ma dico, non vedete quanto c’è bisogno della vostra presenza subito?
I bambini muoiono, è una verità.
Non c’è difficoltà che non si possa schiacciare, come lo scorpione che si vede nella foto. Uno scorpione giallo, tra i più velenosi e mortali al mondo.
Non ho avuto paura quando l’ho trovato, in comunione lo abbiamo schiacciato.
Io l’ho visto con la torcia e con calma l’ho fatto vedere a chi ha più esperienza di me, che l’ha fatto fuori.
Così si fa fuori tutto, tutto il negativo che ci separa dalla vita.
A condizione che ci lasciamo aiutare da chi ne sa più di noi, che riusciamo ad ammetterlo e a trovare la disponibilità di far irrigare la nostra anima da un amore fuori da tutti i nostri condizionamenti, per far fuori ogni siccità di isolamento e sofferenza e finalmente lasciar fiorire la meraviglia che è in noi, che la potenza di amare tutti, ugualmente in tutto il mondo.

L’amore è così.
Funziona solo se tu mi dai il tuo e io ti do il mio.
Così nessuno di noi rimane senza, ma ci ritroviamo tutti e due con il doppio di quello che abbiamo dato.

Viva la vita!

Silvia Neposteri

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