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DALL’AFRICA, INDIA E SUDAMERICA PER AIUTARE GLI ITALIANI

DALL’AFRICA, INDIA E SUDAMERICA PER AIUTARE GLI ITALIANI

 Padre Angelo Benolli, Padre Stephen Ndegwa con Anthony dall’Assam, Marli dal Brasile, Patrick dal Kenya e Gilbert dal Rwanda

Ecco le testimonianze di grandi missionari che vengono dalle nostre collaborazioni del Sud del Mondo. Padri e madri di bambini adottati a distanza dai meravigliosi donatori italiani e mondiali, che vengono tra noi per avere veri e intensi scambi di vita e condividere come grazie al Carisma e alla grande esperienza di Padre Angelo Benolli, le loro vite sono totalmente cambiate e quanto la loro testimonianza sta salvando migliaia di bambini nel mondo! Resteranno due mesi qui in Italia per aiutarci a coltivare i “giardini fioriti” già presenti in ogni regione. Giardini qui e nel mondo di persone nuove, vere, libere che con luce sulla propria storia, fede ritrovata e veramente vissuta e carità verso i sofferenti, stanno finalmente offrendo al mondo una verità necessaria oggi! 

 

TESTIMONIANZA DI PATRICK

Spesso andavamo a dormire senza mangiare e vedevo i miei fratelli più piccoli soffrire di malnutrizione, colera ed altre malattie

Ti ringrazio profondamente Padre Angelo, per l’opportunità che mi offri di tornare in Italia per vivere insieme a te, ai volontari di Italia Solidale, ai volontari donatori ed ai volontari delle altre missioni del Mondo una vera e necessaria esperienza di Eucarestia nel Carisma. Sono felice in particolare di poter collaborare nella importantissima missione che state facendo in questi mesi nei territori italiani e di cui sia Davide De Maria che Padre Stephen Ndegwa mi hanno parlato.Ti ringrazio perché oggi sono vivo e posso dare una testimonianza grazie a Dio, grazie ai tuoi libri, agli incontri che ho avuto con te ed al continuo sostegno che ho ricevuto dai volontari di Italia Solidale (Davide, Padre Stephen ed in passato Daniela). Senza questi contenuti e queste relazioni, oggi probabilmente sarei o ammalato o morto.

Sono nato in condizioni molto duri e molto molto difficili. Subito dopo il 30° giorno dal concepimento, ho sperimentato relazioni familiari molto lontane dal vero amore. Mio padre era una persona molto violenta e fortemente dipendente dall’alcool. Era un contadino e lavorava per le multinazionali inglesi. Non vi era nessun tipo di relazione, lavorava come uno schiavo, usciva presto la mattina e tornava tardi la sera e quando tornava era ubriaco e violento. Spesso tornava la notte e ci svegliava e picchiava senza alcun motivo o picchiava nostra madre davanti a tutti noi bambini. Non ho avuto alcuna relazione con mio padre. Vi era di conseguenza anche una grande povertà materiale. Spesso andavamo a dormire senza mangiare e vedevo i miei fratelli più piccoli soffrire di malnutrizione, colera ed altre malattie. Queste esperienze mi hanno molto addolorato.

La vita è stata molto difficile, molto dolorosa e insopportabile. Avavo 11 fratelli ed sono diventato il padre di tutti loro. A 13 anni andavo a lavorare, tagliavo la legna che poi vendevo per avere un po’ di soldi e comprare del cibo per i miei fratelli e sorelle piccole. Mio padre ci ha abbandonato quando avevamo davvero bisogno di lui. Questa esperienza mi ha fatto odiare mio padre. Lo odiavo con tutto il cuore. Davanti a tutto questo, mia madre era completamente chiusa e non prendeva alcuna posizione. La nostra casa è diventata come l’inferno e molte volte mi sono chiesto dove fosse Dio. Perché ci faceva vivere questo tipo di dolore? Molte volte ho pensato al suicidio. Grazie a Dio avevo almeno una bella relazione con mia nonna che era molto positiva e mi ha sempre sostenuto ad andare avanti. Quando è arrivato il tempo della scuola, ho lottato con tutto me stesso per avere i soldi per pagare le tasse scolastiche e completare il ciclo di studi perché non avevo ricevuto nessun sostegno dai miei genitori. Con l’aiuto di alcuni amici però sono riuscito a finire la scuola.

Per tutto il tempo ho pensato che l’educazione mi avrebbe dato la felicità… ovviamente non lo ha fatto. Ho continuato a vivere con tutte le mie sofferenze. Dopo vari lavoretti sono riuscito ad ottenere un ruolo di insegnante. Ma sono entrati altri problemi. Siccome ero l’unico che lavorava tutti continuavano a dipendere da me e quindi continuavo ad essere identificato come il padre della mia famiglia. Sentivo tutto questo immenso peso sulle mie spalle ed una profonda sofferenza. Però cercavo libertà e pace. Sentivo anche il bisogno di Dio Padre, ma ero molto malato e solo. Andavo in Chiesa, insegnavo catechismo, partecipavo sempre alla messa, ma le mie ferite rimanevano aperte e non risolte. Volevo essere un cristiano serio ma la fede era diventata semplicemente una abitudine. La mia anima era così ferita. Niente guariva il mio dolore. Ero molto stanco e la mia vita era vuota. Mi sentivo sempre solo e sentivo disperatamente bisogno di una qualche forma di guarigione. 

Mi sono sposato con la mia amata moglie Jacinta. Ho vissuto con lei per 22 anni e siamo benedetti con tre figli (due femmine ed un maschio). Volevo essere un padre migliore e un marito migliore di mio padre, ma mi sono ritrovato a ripetere la violenza in me. Ho iniziato a essere il tipico uomo africano. Nella mia famiglia ero come mio padre (l’uomo africano di un clan sembra essere molto forte, ma la sua forza è una debolezza quando si tratta di relazione.), e come mio padre stavo diventando violento con mia moglie e con miei figli. Non capivo nulla. Volevo amare ma non ci riuscivo, volevo star bene ma stavo sempre peggio. Cercavo relazioni ma non riuscivo a viverle. Vivevo tutto questo e non capivo il perché e nessuno mi dava delle risposte.

Un giorno delle suore mi hanno chiamato e mi hanno chiesto una mano. Siccome parlavo inglese ed insegnavo in una scuola mi hanno chiesto se potevo tradurre delle lettere che dei bambini che avevano un’adozione a distanza dovevano scrivere a dei donatori italiani. Pensavo fosse una delle tante ONG che nelle baraccopoli di Nairobi distribuiscono aiuti assistenziali. Ho iniziato a collaborare, si trattava di Italia Solidale ed un giorno è capitato tra le mie mani il libro “uscire da ogni inganno” scritto da Padre Angelo Benolli. Ho iniziato a leggerlo. Non capivo nulla ma sentivo una verità che toccava la mia anima. Con questo libro ho capito perché stavo soffrendo, perché stavo male e non riuscivo a sperimentare relazioni di amore e pace. Ho visto che sin dalla mia infanzia non ho mai avuto esperienza di vera libertà. Ho visto che mio padre e mia madre volevano amarmi ma non potevano perché a loro volta avevano subito miriadi di mancanze di amore e che tutto era inconscio. Ho colto e così perdonato mio padre perché ho visto che era violento ma non era colpa sua perché anche lui da piccolo non aveva sperimentato nessuna relazione con suo padre che era a sua volta violento. Stavo ripetendo, senza volere, su me stesso, su mia moglie, sui miei figli tutta la violenza registrata dentro di me da tutte le generazioni passate. Mi sono identificato negativamente con mio padre e con tutto il vecchio non coerente con Dio e pur non volendo lo ripetevo. Questo è comune nella maggior parte delle famiglie. Tipico di molti maschi africani.

Ho letto sempre più profondamente i libri ed ho avuto sempre più luce sulla mia storia e sulla storia dei miei fratelli. Questo finalmente mi ha dato la gioia di toccare una vera fede ed una vera carità. Ho iniziato il mio cammino personale e missionario nel Carisma. Passo dopo passo ho recuperato il rapporto con mia moglie e con i miei figli. Oggi la relazione è molto vera e molto profonda. Leggiamo insieme i libri e ci sosteniamo a superare ogni difficoltà. Oggi sono molto presente a casa e sento che sto spezzando una catena secolare di violenza, inganni e identificazioni negative. Oggi sono presente nella mia famiglia, cucino (per la mia tribù Kikuyo per l’uomo è vietato entrare in cucina), sto con le mie figlie che sono a loro volta missionarie con molti altri giovani nelle scuole e nelle università. Spesso le mie figlie mi fanno partecipare ad incontri con altri giovani con cui leggiamo i libri. In tutto questo ho lasciato anche il mio lavoro. Ero un insegnante di scuola secondaria, un posto molto ambito in Kenya e ben retribuito, ma nel vedere la sofferenza dei ragazzi e l’impossibilità di aiutarli perché la struttura della scuola lo impediva ho deciso di lasciare il mio posto e di dedicarmi completamente alla missione ed in particolare alla missione nella baraccopoli di Kware a Nairobi e di tutto il Kenya.

Nella missione di Kware ci sono stati tantissimi miracoli di vita. La missione nella baraccopoli non è semplice e ci sono tante difficoltà perché la realtà è veramente violenta, brutale, atroce. Però si può vedere chiaramente come Dio opera e come Dio vuole questo carisma per ogni persona e per tutto il Kenya ed il Mondo. Oltre alla missione di Kware ringrazio Dio anche per tutte le esperienze fatte con Davide nelle altre missioni del Kenya (dal 2009 al 2015) dove abbiamo affrontato tante difficoltà, ma dove Dio ci ha benedetti e nel Carisma abbiamo fatto fronte e non solo non sono state chiuse le missioni ma si sono quasi raddoppiate. Alle tante esperienze missionarie con Padre Stephen, Mara Tredicine, Silvia Neposteri e altri. Sempre Dio ci ha camminato avanti.

Ringrazio Dio anche per la missione con i vescovi del Kenya che sono molto colpiti da quello che facciamo e che portiamo avanti. Avrei tanto altro da dire…ma lo farò quando ci vedremo in Italia. Sono contento di poter venire in Italia per poter donare la mia testimonianza agli italiani che sono coinvolti in questo modo tutto nuovo di fare adozioni a distanza, ma anche per poter ricevere e partecipare agli approfondimenti con te Padre Angelo Benolli e con tutti voi. Questa visita in Italia avviene nel momento giusto per ricevere più luce su alcuni aspetti personali e missionari che sto vivendo in questo momento per affrontare con ancora più fede e risolvere con tutta la forza della carità.

In Dio c’è libertà, Lo ringrazio e ringrazio te P. Angelo per questo grande dono che hai portato all’umanità di oggi.

Patrick Muroki Ndirangu (Kware Solidale – Kenya Solidale)

 

Testimonianza di Gilbert

Grazie ai missionari di Italia Solidale, ai libri di padre Angelo Benolli, ai video e all’adozione a distanza che ricevo dal donatore italiano, ho avuto luce sulle mie difficoltà e sto facendo tanti passaggi per uscire da timidezza e paure

Mi chiamo Gilbert Mutabaruka, ho 52 anni, mi sono sposato con Jacqueline Batamuliza e Dio ha benedetto la nostra famiglia con 5 figli, di cui 3 femmine e 2 maschi. Ero impegnato a svolgere la funzione di Magistrato al Tribunale di Prima Istanza di Nyamata e poi ho insegnato a una scuola superiore a Nyamata, prima di fare l’esperienza con le comunità solidali nel 2000. Ora faccio parte della comunità Lumen, della Zona di Gacyamo della missione di Muyenzi Solidale. La mia testimonianza si articola su tre punti: la timidezza, la paura e la relazione. Posso collocare questi punti in due periodi della mia vita: il periodo prima di aver conosciuto questa cultura di vita e dopo.

Il periodo prima delle comunità solidale: oscurità, mancanza di relazione e di comunione

Fin da giovane, ho vissuto una situazione di grande paura e timidezza e non sapevo il perché. Avevo una paura di esprimermi in pubblico, ma nonostante ciò, amavo essere nei gruppi per ascoltare gli altri che parlavano perché il fatto stesso di ascoltare gli altri mi metteva a mio agio, ma la mia partecipazione era quasi inesistente. Questa grande paura che provavo nel profondo è stata per me un inferno. Ovunque mi trovassi ne soffrivo, senza sapere il perché. Mi ricordo che alle elementari non riuscivo a ripetere o recitare ciò che imparavamo a memoria. A causa della paura, tutto era bloccato in me. Alle superiori non riuscivo a esporre i contenuti di un corso o di una presentazione, alla messa non potevo leggere le letture. Una volta ho provato a farlo, ma ho iniziato a tremare e sono caduto per terra. Nella mia carriera professionale, da una parte ero apprezzato per essere una persona assidua nel lavoro e puntuale, ma dall’altra ero considerato un uomo molto timido, incapace di relazionarmi. Nella vita coniugale poi, non riuscivo nemmeno a parlare con mia moglie e questo la faceva davvero soffrire. A un certo punto iniziò persino a credere che avessi altre donne, ma con il tempo ha capito che era la timidezza che mi bloccava. 

Il periodo dell’esperienza nelle comunità: il sostegno dei missionari

Fortunatamente, ho avuto l’occasione di incontrare una missionaria di Italia Solidale, Daniela Fortini, che mi ha aiutato a superare a poco a poco i miei problemi legati all’espressione e alla timidezza. Soprattutto quando mi invitava a testimoniare o a tradurre alle comunità durante i collegamenti via Skype con lei dall’Italia. Questo scambio e servizio di traduzione, mi faceva uscire a poco a poco dalle mie paure. E dopo Daniela, con altri missionari di Italia Solidale abbiamo continuato allo stesso modo. 

 

Origine della mia timidezza e della mia paura

Grazie all’esperienza che ho fatto nelle comunità con Italia Solidale e chiedendo a mia madre la sua storia, mi diceva che quando era incinta di me, nel nostro villaggio c’erano i massacri tra Tutsi e Hutu (due etnie in conflitto in Ruanda) e una coppia di famiglia tutsi era venuta e chiedere rifugio presso i miei genitori. Loro avevano cercato di nasconderli in sicurezza, ma dei malfattori volevano ucciderli. Fortunatamente, i miei genitori fecero fuggire la coppia in pericolo prima che arrivassero, ma quando arrivarono iniziarono a intimidire i miei genitori e a fare ogni sorta di minacce in particolare a mia madre. Mia madre fu talmente traumatizzata dall’aver vissuto una situazione di così grande paura che stava per abortire. Anche mio padre raccontandomi di lui, diceva che quando era piccolo i suoi genitori gli impedivano di parlare perché dicevano che era un bambino bugiardo e quanto insisteva nel voler dire qualcosa lo picchiavano. Allora, lui preferiva stare zitto piuttosto che essere picchiato. 

Luce, impegno personale, risoluzione dei problemi e conclusione

Grazie ai missionari di Italia Solidale, ai libri e documenti di padre Angelo Benolli, ai video, all’adozione a distanza che ricevevo dal donatore italiano e ai vari incontri ai quali ho partecipato, ho avuto luce sulle mie difficoltà e sto facendo tanti un passaggi per uscire da timidezza e paure; sto migliorando la relazione con me stesso, con Dio e con gli altri. Attualmente, aiuto le coppie nelle comunità a fare lo stesso ed entrare nel loro inconscio per portare alla luce le falsità che ci sono registrate e impegnarsi, come Cristo, a risolverle. Inoltre seguo molti bambini, con i quali gioco e li aiuto ad esprimersi con queste basi e vedo ogni giorno che i risultati sono molto positivi. L’anno scorso la mia famiglia ha trovato anche un donatore che sta aiutando un altro bambino in un’altra missione e con cui sono in relazione continua. Miei cari amici, nella vita di ognuno ci sono tanti e diversi condizionamenti che io considero come muraglia e che ci impediscono di essere in vera relazione con Dio e con gli altri. Ho conosciuto la muraglia della timidezza, della paura, della mancanza di relazione con mia moglie e altre, ma con Dio e con il mio impegno personale in questa nuova cultura di vita che viene dallo Spirito Santo attraverso Padre Angelo Benolli, ho potuto superare tutte queste muraglie. Anche ognuno di voi, nonostante i condizionamenti, sono sicuro che con un forte impegno personale e l’aiuto di Dio, potete dare un nome alle muraglie che avete dentro e che incontrate ogni giorno. Forse la muraglia della depressione, della solitudine, della paura, dello sconforto, della malattia e così via, ma qualunque sia la muraglia che s’innalza nella vostra vita, con Dio e attraverso questa cultura, potete superarla! E la superate perché è Dio, è Gesù, è lo Spirito Santo con la vostra partecipazione che vi portano al di sopra di questa muraglia!

Gilbert Mutabaruka (Nyamata Solidale – Rwanda Solidale)

  

Testimonianza di Marli

Ho capito che non potevo amare nessuno perché non avevo ricevuto amore ma solo violenza e per questo ero bloccata

Mi chiamo Marli, ho 41 anni sono nata in uno stato povero del Brasile che si chiama Minas Gerais. Ho avuto un unico fidanzato dai 12 anni che si chiama Valdete e mi sono sposata con lui a 25 anni e oggi abbiamo due figli. Prima dei due figli ne ho perso un altro alla prima settimana di vita.

Ho sempre avuto una vita molto difficile prima di tutto con i miei genitori che avevano una dipendenza totale dall’alcool. Avevamo una casa poverissima di campagna e vivevamo con la vendita del riso e del fagioli che producevamo. Mio padre picchiava moltissimo sia me che i miei due fratelli minori e mia madre sembrava come se non gli importasse nulla di noi; l’unica cosa che importava era che l’aiutassi a prendere cura dei miei fratelli più piccoli. Ogni mattina, nella mia infanzia, dovevo andare al fiume a lavare i vestiti di tutti. Mio padre non ci lasciava liberi di giocare e se giocavamo fuori con una palla ci veniva a picchiare dicendoci che dovevamo aiutarlo con il lavoro sui campi. Non potevamo nemmeno andare a casa di nostra nonna là vicino. Sono cresciuta con dentro una grande rabbia per i miei genitori. Dai 12 anni mi sono fidanzata con Valdete e i nostri genitori non ci permettevano nemmeno di vederci. Lui per questo veniva ad incontrarmi la notte di nascosto. A 15 anni ho avuto la forza di scappare di casa e sono andata a vivere con lui. Sono rimasta incinta e credevo che questo bambino avrebbe cambiato la mia vita e quella di Valdete.

Avevo sempre sognato di essere madre e quindi mi aspettavo che avrei raggiunto il massimo della felicità con questo bimbo. Gli avevamo comprato tutto il meglio che potevamo permetterci ma è nato con la fibrosi cistica ed è morto una settimana dopo la nascita… ne abbiamo sofferto molto. In questo periodo da Minas Gerais ci siamo trasferiti a Jundiaì in cerca di lavoro e di un futuro. I medici mi dicevano che non potevo più rimanere incinta per i miei problemi fisici e psicologici e allora sono andata a fare un trattamento per rimanere incinta. Dopo 3 anni sono rimasta incinta ed è nato Marcelo, però con l’anemia. Da quando è nato abbiamo passato 14 anni andando 3 volte alla settimana con lui a fare un trattamento medico. Anche la mia relazione con lui era molto difficile, perché io non conoscevo l’amore come deve essere, dato la relazione con i miei. In seguito è arrivato pure il nostro terzo figlio Marcos anche lui malato di fibrosi cistica. Per questa malattia dovevamo spesso accompagnarlo fuori città per far dei trattamenti ma per questa mancanza d’amore, di relazione e di verità tra me e mio marito il nostro primo figlio Marcelo è rimasto molto solo. Per questo Marcelo si è spento sempre di più ed era sempre triste, non riusciva più a stare in relazione con sé, non percepiva il male che faceva a sé stesso ed infatti, da molto piccolo è caduto nella droga e in disordini vari.

Ho conosciuto la missione di Italia Solidale attraverso Suor Esmeria però non ci capivo nulla. Quando abbiamo fatto il meeting del Sud America qui a Jundiaì nel 2016 insieme con Elisa Saitto, Angela Oriti, Michele e Suor Esmeria, ho visto il video del bambino intrauterino e ascoltando tante testimonianze ho conosciuto il vero amore che è Dio. E’ stato molto forte per me e quindi ho iniziato a cercare la mia identità. Lì ho capito che non potevo amare nessuno perché io non avevo ricevuto amore ma solo violenza e per questo ero bloccata. Ho iniziato a cambiare modo d’essere dopo la missione, comprendendo di più la necessità di una forza e indipendenza anche da mio marito, i miei figli e dal lavoro che avevo avuto e così … ho lasciato che Dio entrasse veramente nella mia vita. Facendo così ho salvato la mia vita e quella dei miei figli, principalmente del primo. Infatti con lui ho ricostruito una relazione e ora lui è più contento. Pure mio marito sta cercando la sua identità e insieme stiamo leggendo i libri di Padre Angelo, stiamo uscendo da tanti inganni. Ultimamente mentre sono qui in Italia mio marito e i miei figli hanno compreso molte cose e sono diventati più forti e indipendenti. Addirittura per tutto questo movimento interno e esterno mio figlio Marco non sta prendendo più le medicine per la fibrosi cistica, ha tanto sentito una forza e una libertà che è guarito! Non smetterò mai di ringraziare Dio per Italia Solidale e questo nuovo modo di fare adozione a distanza e questa proposta che viene da Dio attraverso Padre Angelo Benolli. Auguro a tutti di fare questa esperienza di riscoperta di sé, delle proprie energie in Dio per ricevere come me tante, tante benedizioni!

Marli Vitor De Oliveira Schimit (Jundiaì Solidale – Brasile Solidale)

 

Testimonianza di Anthony

 

Il missionario che verrà dall’India e che condividerà con noi l’esperienza della missione nei territori in Italia si chiama Anthony Soren e viene da Kokrajhar (1/140) nell’Assam (nord-est dell’India, vicino al Buthan). Pur essendo un ragazzo (è fidanzato e si sposerà l’anno prossimo con una ragazza che si è scelto lui stesso, superando il matrimonio combinato), ha “salvato” la missione di Kokrajhar Solidale rimasta orfana dopo il trasferimento della suora salesiana che aveva formato le prime comunità in cui nessuno dei membri era in grado di comunicare in inglese. Lui era il figlio “educato” in collegio di una delle nostre famiglie. Ora è il principale referente di 40 comunità in cui famiglie di tribù diverse (tradizionalmente acerrime nemiche e vittime di uno scontro etnico che ha causato nel 1996 decine di migliaia di morti) condividono esperienze di sviluppo di vita e missione nelle relazioni interne ed esterne attraverso i gemellaggi con una missione dell’Uganda (Anna). Nella missione hanno comperato un terreno agricolo per costruire il Centro delle relazioni, ma aspettano la conversione del tipo di terreno per poter cominciare i lavori.

Mi chiamo Anthony Soren hoo 26 anni e nella mia famiglia siamo cinque. Credo di poter dire di essere cresciuto in una famiglia che, nonostante le sue difficoltà interiori ed esteriori, aveva una buona base. I miei genitori erano molto semplici, ma si sono impegnati tanto per il nostro sviluppo ed hanno incontrato tanti problemi per poter mantenere il loro desiderio che noi potessimo ricevere un’educazione scolastica. I miei genitori sono passati attraverso molte esperienze nella loro vita e non tutte positive. Entrambi erano di famiglia indù. Mio padre ha portato mia madre con sé da un villaggio lontano ed insieme si stabilirono nella casa del mio nonno paterno. Più tardi entrambi si sono convertiti alla fede in Cristo. Quando sono diventati Cristiani sono stati scacciati dalla casa paterna e si sono trovati senza casa e senza alcun bene. Uno zio gli ha permesso di dormire nella veranda esterna della sua casa. Solo due anni più tardi sono riusciti a costruirsi una piccola capanna nella foresta a lato del villaggio. Per arrivare ad avere una capanna hanno lavorato duramente come braccianti ad ore. Mia madre lavorava duramente come operaia per la riparazione della strada pubblica e mio padre andava nella foresta per tagliare legna da ardere. Nonostante queste pesanti ore di lavoro quotidiano, hanno trascorso la loro vita restando sempre in forte relazione con Dio.

Più tardi hanno ottenuto da Dio una bella figlia che è la mia sorella maggiore. Mia sorella conosce meglio di me le difficoltà di vita che hanno attraversato i miei genitori. Mentre passavano gli anni, l’unico sacerdote che era in contatto con mio padre gli chiese perché non educava sua figlia. Mio padre rispose che non era in grado di pagare le tasse scolastiche. Il sacerdote gli disse di non preoccuparsi e di portarla al suo ostello. Più tardi mio padre riuscì a restituire il costo delle tasse scolastiche con la legna da ardere. Dopo qualche anno sono nato io e quando ho raggiunto la giusta età mi hanno mandato alla scuola del villaggio. I miei genitori non volevano che in futuro potessi soffrire come avevano sofferto loro, hanno quindi inserito anche me nell’ostello all’età di sei anni. Molte volte ho pianto e arso di desiderio di tornare a casa. Ma non c’era alcuna possibilità…

Nel 1996 c’è stato un gravissimo scontro etnico tra le due tribù locali di Adivasi e Boro. Ho fatto terribili esperienze in quel periodo. Ho dovuto nascondermi da solo tra i cespugli di una piantagione di thè vicina all’ostello per sfuggire alla morte mentre i miei genitori erano rifugiati in un campo profughi e non sapevamo nulla gli uni degli altri. Quando, dopo 2 settimane io e mia sorella maggiore siamo riusciti a ritornare a casa, non riuscivamo più a riconoscere niente perché era tutto completamente bruciato e trasformato in cenere. In seguito sono stato messo in un’altra ostello per continuare i miei studi. Quando la situazione sembrava ritornata ad uno stato di normalità, sono stato riportato al precedente ostello per continuare a studiare lì. Ma nel giro di poco, scoppiò di nuovo il conflitto tra le stesse tribù e questa volta ho trascorso due giorni nel campo profughi. Per la terza volta ho cambiato ostello per motivi di sicurezza e ho continuato gli studi in un ostello lontano dalle zone di conflitto. Così, tra un ostello ed un altro, ho trascorso la maggior parte della mia vita lontano dalla mia famiglia e senza l’esperienza di relazioni significative, ma nell’anonimato di centinaia di ragazzini accumunati dalla stessa sorte.

Vivevo alla giornata senza comprendere un granché della mia realtà personale e sociale. La mia sola preoccupazione era quella di riuscire ad avere sufficiente cibo nell’ostello nonostante non fosse neanche buono. Spesso pensavo ai miei genitori a casa solo perché li immaginavo con un buon cibo. I miei genitori mi hanno visitato solo due volte l’anno, durante le vacanze estive e a Natale. Solo raramente sono tornato a casa e con mia grande sorpresa, ogni volta mi ammalavo per settimane e finivo in ospedale. Poi quando dovevo tornare all’ostello diventavo molto triste e piangevo, ma non c’era nessuna possibilità di un cambiamento. Dopo il diploma, sono stato assunto in una scuola privata vicino a casa nostra come assistente insegnante. Nella mia zona erano intanto cominciate le prime esperienze con Italia Solidale e dal 2010 si sono coinvolti i miei genitori ricevendo un’adozione a distanza da un volontario donatore italiano. Una volta ho partecipato e poi ho chiesto meglio ai miei genitori che mi hanno risposto: “tutto è esperienza di sé”. Ancora non ero riuscito a comprendere.

Nel frattempo Suor Maria, la suora salesiana responsabile delle comunità di Italia Solidale nella zona, è stata trasferita in un altro luogo. Prima di me, due altri volontari laici hanno cercato aiutare affinché la collaborazione con Italia Solidale continuasse, ma non sono riusciti, così mio padre e Chilaram sono venuti da me chiedendomi un aiuto. Senza conoscere niente, ho cercato di entrare nell’esperienza della missione di Kokrajhar Solidale come interlocutore tra le famiglie e i volontari di Italia Solidale. Nel 2015, ho avuto la possibilità di partecipare ad un meeting di formazione a Banglore dove è stato mio privilegio incontrare il fondatore di questa nuova cultura di vita, P. Angelo Benolli. Lì ho potuto capire tante cose e in particolare l’importanza delle sane relazioni. Ho iniziato a coinvolgermi di più e a leggere i libri di Padre Angelo e anche se all’inizio non capivo tanto, Caterina Casarano e altri volontari mi hanno aiutato molto a capire meglio e iniziare ad esprimermi. Così ho cominciato a toccare la mia vita, le mancanza d’amore e le conseguenze di aver trascorso così molti anni nell’ostello senza relazioni. Ho cominciato a comprendere ed attuare la necessità di essere indipendente, dalle autorità scolastiche e da tutte le identificazioni negative che avevo vissuto, con i miei genitori e non solo.

A casa per esempio ero molto schiacciato dei miei genitori e per questo mi ammalavo molto fisicamente e spiritualmente senza essere artefice della realtà della mia stessa vita. Ho cominciato a percepire l’inganno dei condizionamenti e di come tutto si registra a livello inconscio sulle cellule nervose che non cambiano, e di quanto io stesso avevo addosso che veniva dai miei genitori, dalla società, gli anziani, gli sudi ecc.

Vedere poi il video del bambino intrauterino mi ha dato più forza per affrontare la realtà della mia vita. Riflettere sui primi trenta giorni, quando il bambino è solo nella piena potenzialità e in rapporto con Dio, mi ha ridato fiducia in me stesso. Ora comprendo cosa si è perso in me. Non accuso i miei genitori di avermi messo nell’ostello e altre cose, ora comprendo che lo hanno fatto credendo di fare il mio bene, ma non potevano capire. Ora, grazie a questa nuova cultura che arriva dallo Spirito Santo, attraverso Padre Angelo Benolli ed all’esperienza con Italia Solidale, sto recuperando la mia persona e anche con i miei genitori stiamo recuperando la mancanza di amore con relazioni più vere e con più luce sull’inconscio. Tutto questo mi spinge ad una nuovo e costante rapporto con Dio, nella famiglia, con i volontari di Italia Solidale, i donatori italiani e mondiali, la comunione con le famiglie a livello intercontinentale e interstatale, e con i meravigliosi donatori locali che stiamo cercando nelle nostre missioni. Grazie a tutto questo sto finalmente ritrovando la mia dignità, la libertà, nelle relazioni senza condizionamenti e nella carità. E’ una grande benedizione di Dio e ancora una volta grazie a p. Angelo Benolli, fondatore e presidente di Italia Solidale Solidale – Mondo Solidale!

Anthony Soren (Kokrajhar Solidale – India Solidale)

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