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Testimonianza della giovane Beatrice Marchesi di Pavia

Testimonianza della giovane Beatrice Marchesi di Pavia

Con questa lettera desidero arrivare al cuore di tanti giovani, che, come me, sono in cerca di quelle risposte, che non possono trovare in questo mondo corrotto, pieno di resistenze, di chiusure, di superficialità e materialismi

Caro padre Angelo Benolli, ti scrivo con immensa gioia. Sono di ritorno da un’esperienza unica e speciale, di cui sento il bisogno di testimoniare a cuore aperto perché frutto dell’amore di Dio e del movimento missionario a cui partecipo insieme ai ragazzi della mia comunità, ovvero Elisa, Simone e Giulia, con il prezioso sostegno di Silvia Neposteri, responsabile del mio territorio. Abbiamo appena concluso la nostra “malga salentina”, una vacanza nella terra natale di Elisa all’insegna del Carisma. Quest’anno non abbiamo potuto partecipare all’esperienza di malga Zures, a causa dell’emergenza Covid, e così, ci siamo organizzati per crearne una tutta nostra.

Nove mesi fa, Dio, attraverso la persona di Silvia, mi ha dato l’opportunità di conoscere più a fondo il Carisma. In quel periodo vivevo una grande confusione interiore; avevo tra le mani una laurea in ingegneria civile, conseguita a pieni voti, ed avevo appena concluso un master di alto livello, che mi permise di trovare un lavoro in pochi giorni presso una struttura molto rinomata nell’ambito dell’ingegneria sismica. Tutti mi facevano i complimenti per l’ottimo curriculum e mi dicevano fortunata, ma io mi sentivo profondamente infelice. Studiavo e lavoravo con grande stress, prosciugata nelle mie energie personali a tal punto che a fine giornata non desideravo altro che rinchiudermi nel mio mondo, isolata da tutto e da tutti, sdraiata sul divano a guardare la tv, completamente anestetizzata. Cresciuta in un paese di 550 anime (per lo più anziani), avevo pochi amici, con i quali avevo relazioni superficiali, che il più delle volte sfociavano nel negativo, tra inspiegate invidie, gelosie e tradimenti. Sentivo il peso di una relazione sentimentale, di cui mi ero illusa felice e soddisfatta, ma che, in realtà, mi soffocava. Stavo con un ragazzo estremamente intelligente e pianificatore, con una forte sete di carriera; una personalità che mi faceva sentire protetta, ma allo stesso tempo dipendente in ogni mia scelta. Sentivo su di me lo sguardo severo della mia famiglia, che aveva fatto tanti sacrifici per farmi studiare e che mi sentivo in dovere di ripagare diventando un bravo ingegnere, così come mio padre e mio nonno erano stati dei grandi ed acclamati medici. La mia unica valvola di sfogo erano quelle sere trascorse in solitudine, rinchiusa nella taverna di casa, in cui, lontana da tutto e da tutti, mi sentivo libera di ballare con lo stereo ad alto volume e di perdermi in un mondo fantastico, fatto di personaggi e relazioni immaginarie, che al di fuori di lì non trovavo.

 

Durante il mio primo incontro con Silvia nel mio paese, vidi il video del bambino intrauterino. Ne rimasi inaspettatamente colpita, a tal punto da riuscire a stento a trattenere le lacrime. Ascoltai con interesse la testimonianza di vita e missione di Silvia e colsi nella sua storia alcuni punti in comune con la mia. Testimoniava con gioia di come l’amore per i bambini e le famiglie del Sud del mondo le avesse cambiato la vita. Volevo avere la stessa fermezza e gioia di vivere, ma non riuscivo a comprendere come l’adozione a distanza di un bambino potesse aiutarmi a scacciare la mia sofferenza. Attraverso il video, Silvia mi disse che, come tutte le persone del mondo, anche io avevo un valore unico ed irripetibile, ero un’anima meravigliosa, creata da Dio nell’amore a Sua immagine e somiglianza. Fui felice di sentire quelle parole, nessuno mi aveva mai detto una cosa simile con tanta convinzione e sincerità. Senza molti giri di parole, chiesi a Silvia di dirmi in che modo dovevo agire per arrivare a fare esperienza di tutta quella verità di cui si faceva testimone. Ci incontrammo pochi giorni dopo a casa mia insieme a Fernanda, missionaria colombiana. Come un fiume in piena, mi sfogai con loro, raccontando loro la mia storia e tutte le emozioni che l’incontro precedente aveva suscitato in me. Mi suggerirono di agire una volta per tutte secondo quello che la bambina dentro di me, desiderosa di vita, amore e libertà, sentiva. Non potevo più adattarmi ad una vita che non mi apparteneva ed agire secondo ripetizione. Così, pochi giorni dopo, presentai le dimissioni al lavoro e terminai, con non poche difficoltà, la mia relazione sentimentale, che tanto mi opprimeva, presentando le conseguenze di quel mio gesto dinnanzi alla croce di Gesù, con la fiducia che Egli avrebbe colmato quel vuoto con qualcosa di migliore. E così fu. Un mese dopo trovai un nuovo lavoro, che con l’esperienza del Carisma che faccio giornalmente, riesco a gestire con una maggiore luce su di me e sui miei condizionamenti, con la consapevolezza che la mia dignità è più preziosa di qualsiasi materialismo e schiavitù per il lavoro. Un giorno, in confessione da te, senza conoscermi, mi dissi queste semplici parole: “Devi stimarti di più”. Capii piano piano che era proprio questa la chiave di svolta. Dovevo recuperare la mia dignità, il mio io potenziale.  I miei genitori non mi hanno mai fatto mancare nulla di materiale, ma per questo motivo e per garantirmi un futuro roseo, hanno sempre lavorato molto. Trascorsi la mia infanzia e parte della mia adolescenza da sola con la nonna. Poche erano le possibilità di relazione che avevo con i miei genitori. Non sentivo la necessità di esprimermi con loro e mi adattavo passivamente alla loro educazione.

Decisi un giorno di adottare una bambina ugandese, nonostante non fossi del tutto convinta del potere dei gemellaggi, su cui tanto puntavate. Silvia mi affidò la piccola Rita, figlia di Grace della missione di Pakwach. Gli incontri comunitari con Grace su Skype sono stati un elemento fondamentale per la mia svolta nel Carisma. Mi stimolavano continuamente ad esprimermi, a tirare fuori un’opinione. Percepivo che con Grace potevo fare uscire senza vergogna quella bambina desiderosa di danzare, che avevo sempre tenuto nascosta in taverna. Grace si dimostrò fin da subito una grandissima missionaria, sempre fedele all’amore di Dio, una grande femmina, che mi testimoniava con semplicità tutti i passaggi fatti per uscire dai condizionamenti del clan e dalla sofferenza legata al mancato amore del padre, che la violentava. Più testimoniava e più sentivo sciogliersi quel nodo alla gola che mi impediva di parlare per senso di inadeguatezza. Mi ringraziava ogni volta per esserle accanto e mi sosteneva a testimoniare, a muovermi con Dio per recuperare la mia dignità, fuori da ogni identificazione negativa. Mi pregò con grande umiltà di cercare un donatore per alcuni bambini della sua comunità, sofferenti ed in cerca di amore. Non riuscii a rimanere indifferente di fronte a quella richiesta, dovevo farlo per me e per lei. Nel frattempo, accolsi la proposta di Silvia di partecipare agli incontri della Scuola di Vita e di Missione. Ogni mese prendevo il treno e mi recavo a Roma, contro ogni resistenza dettata dalla stanchezza di una faticosa settimana lavorativa. Lì trovai un clima di grande serenità, umiltà e carità, e conobbi tantissime persone. Tra di esse c’era anche Elisa, una ragazza semplice in cerca di risposte e desiderosa di amore, proprio come me. Fu in quel periodo che Silvia mi propose di iniziare una comunità con Elisa ed altri due ragazzi, Simone e Giulia, provenienti da Genova e dalla Svizzara, rispettivamente. Non li conoscevo. Nonostante qualche titubanza iniziale, che mi portava a chiudermi e a rifiutare tale relazione, sentivo la necessità di partecipare comunque, in quanto coglievo qualcosa di vero, Dio mi stava proponendo qualcosa di grande. Di settimana in settimana gli incontri si svolgevano con sempre più spontaneità. La gioia che provo nel condividere con loro la mia vita e di essere io partecipe della loro è unica ed indescrivibile. Con il sostegno di Silvia, abbiamo iniziato ad investigare più a fondo nel nostro inconscio e a trovare insieme soluzioni vincenti per sciogliere tutti i ghiacci del nostro passato. Ci sosteniamo ad incarnarci sempre di più nella missione per formare delle nostre comunità. Abbiamo portato alcuni amici a provare l’esperienza del gemellaggio, invitandoli a partecipare a collegamenti Skype con alcune famiglie ugandesi. Alcuni hanno portato frutto, in altri abbiamo comunque piantato un semino che produrrà frutto al momento giusto, che forse non è questo.

Mi viene da sorridere se penso alla meraviglia che siamo diventati. Ogni giovedì ci incontriamo in videoconferenza, leggiamo i tuoi libri, spesso ci colleghiamo con le famiglie e i missionari africani e ci sosteniamo a vicenda per compiere la missione, con la certezza che, agendo nella carità, Dio ci benedice. Certo, la strada da fare è ancora lunga, ma noi ci siamo. La “malga salentina”, che si è appena conclusa, ci ha permesso di incontrarci finalmente di persona e di vivere una settimana di preghiera, missione, carità ed esplorazione delle meraviglie del creato. Abbiamo vissuto tutti insieme in un trullo, in aperta campagna, in pace con Dio e con il mondo, tra gli alberi di ulivo e la vista del mare. Ci fermavamo a riflettere sulla meraviglia del creato e sulla necessità che sentiamo di vivere in piena armonia con esso. Abbiamo stilato un programma giornaliero, un ordine da seguire, in modo da rendere la vacanza una vera esperienza missionaria, lontana dallo schema della solita vacanza giovanile, all’insegna dello sballo e del divertimento; dovevamo mettere Dio e la carità al centro. Ogni mattina leggevamo un punto del libro “Dieci punti di sviluppo di vita e Missione”, meditavamo e testimoniavamo in piena libertà e spontaneità quello che portavamo nel cuore e che il capitolo, appena letto, suscitava in noi. Al pomeriggio facevamo qualche escursione e un tuffo nel meraviglioso mare salentino.

Mentre scrivo, rifletto su come, grazie a tutto questo, in poco tempo sia diventata una ragazza più serena, sempre più consapevole del suo valore e pronta a mettersi in crisi di fronte ai propri diavoli e a quelli del mondo per uscirne risorta, come Cristo. Con il sostegno della mia comunità e di Valentina, persona degna del giardino di Gallarate, che ho conosciuto alla Scuola, sono riuscita a proporre l’adozione a distanza di un bambino ugandese ad un amico, mantenendomi fedele alla promessa fatta a Grace. Quella semplice proposta è stata per me uno scoglio enorme da superare. Di fronte al sì di Alberto, ebbi un mal di testa fortissimo, segno che avevo scalfito parte di quel ghiaccio di secoli di non espressione, registrato nelle mie cellule nervose. La gioia che ne derivò fu immensa e indescrivibile.

Con questa lettera desidero arrivare al cuore di tanti giovani, che, come me, sono in cerca di quelle risposte, che non possono trovare in questo mondo corrotto, pieno di resistenze, di chiusure, di superficialità e materialismi. Ogni persona merita di amare e di essere amata. Dio ci chiama ad essere missionari prima di tutto per noi stessi, non sprechiamo questa opportunità e testimoniamola al mondo. Ringrazio Silvia, che non mi ha mai mollata un secondo, credendo fermamente nel mio valore, senza mai giudicare. Ringrazio te, Padre Angelo, per il dono grande del Carisma, che ci consente di vivere relazioni d’amore degne e vere in Cristo. Ringrazio con tutto il cuore Dio per le tante sue benedizioni e per avermi concesso la grazia di trovare un senso alla mia vita a soli 28 anni. Aiutami Padre a testimoniare tutto questo con sempre più gioia, fermezza e libertà per trovare nuovi donatori e persone degne.

Infine, prego per i miei genitori, che con l’aiuto di Silvia, stanno anch’essi partecipando alla missione, perché non perdano la rotta e abbiano la forza, con la loro grande fede in Dio, di uscire da ogni negatività e disordine dello spirito. Anche Grace li sta aiutando molto, offrendosi disponibile a partecipare ogni settimana al loro giardino. Che questa lettera possa arrivare a smuovere il loro cuore per salvare sempre più bambini, desiderosi del loro amore.

Beatrice Marchesi – Giovani Solidali – Pavia Solidale 

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